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07.12.2020
Intervenendo sul tema dell'abuso del diritto (di cui ai commi 12 e 13 dell'art. 10-bis della Legge 27 luglio 2000, n. 212), con l'ordinanza n. 24839, depositata il 6 novembre 2020, la Corte di Cassazione ha precisato quanto segue: va sempre garantita la libertà del contribuente di scegliere tra operazioni che determinano un differente carico fiscale e il divieto di comportamenti abusivi non vale quando le operazioni abbiano giustificazioni economiche diverse dal conseguimento del mero risparmio d'imposta.
Intervenendo sul tema dell'abuso del diritto (di cui ai commi 12 e 13 dell'art. 10-bis della Legge 27 luglio 2000, n. 212), con l'ordinanza n. 24839, depositata il 6 novembre 2020, la Corte di Cassazione ha precisato quanto segue: va sempre garantita la libertà del contribuente di scegliere tra operazioni che determinano un differente carico fiscale e il divieto di comportamenti abusivi non vale quando le operazioni abbiano giustificazioni economiche diverse dal conseguimento del mero risparmio d'imposta.
12.11.2020
L'Unità di Informazione Finanziaria per l'Italia (UIF) ha aggiornato gli "Schemi rappresentativi di comportamenti anomali ai sensi dell'articolo 6, comma 7, lettera b), del d.lgs. 231/2007" relativi alla "Operatività connessa con illeciti fiscali"; il documento assume rilevanza - oltre che ai fini della normativa in materia di prevenzione del riciclaggio - anche in relazione alla prevenzione dei reati tributari mediante l'implementazione del "Modello di organizzazione, gestione e controllo" ex D.Lgs. n. 231/2001 e del "Tax Control Framework" aziendale.
Tali schemi sostituiscono quelli diffusi con le comunicazioni della UIF del 15 febbraio 2010 e del 23 aprile 2012, rispettivamente, in tema di frodi sull’IVA intracomunitaria e in materia di frodi fiscali internazionali e frodi nelle fatturazioni.
I tre nuovi schemi si riferiscono a:
L'Unità di Informazione Finanziaria per l'Italia (UIF) ha aggiornato gli "Schemi rappresentativi di comportamenti anomali ai sensi dell'articolo 6, comma 7, lettera b), del d.lgs. 231/2007" relativi alla "Operatività connessa con illeciti fiscali"; il documento assume rilevanza - oltre che ai fini della normativa in materia di prevenzione del riciclaggio - anche in relazione alla prevenzione dei reati tributari mediante l'implementazione del "Modello di organizzazione, gestione e controllo" ex D.Lgs. n. 231/2001 e del "Tax Control Framework" aziendale.
Tali schemi sostituiscono quelli diffusi con le comunicazioni della UIF del 15 febbraio 2010 e del 23 aprile 2012, rispettivamente, in tema di frodi sull’IVA intracomunitaria e in materia di frodi fiscali internazionali e frodi nelle fatturazioni.
I tre nuovi schemi si riferiscono a:
- utilizzo o emissioni di fatture per operazioni inesistenti;
- frodi sull'IVA intracomunitaria;
- frodi fiscali internazionali e altre forme di evasione fiscale internazionale.
20.09.2020
Con la sentenza n. 19377, depositata il 17 settembre 2020, la Corte di Cassazione si è espressa in ordine all'onere della prova da parte dell'Amministrazione finanziaria nel caso di utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Con tale pronuncia i giudici di legittimità hanno ribadito il seguente principio: in caso di contestazione di fatture oggettivamente inesistenti, l’Ufficio deve solo dimostrare, anche in maniera indiziaria, che la prestazione riportata nei documenti contabili non sia stata posta in essere e non anche provare la malafede del contribuente.
Con la sentenza n. 19377, depositata il 17 settembre 2020, la Corte di Cassazione si è espressa in ordine all'onere della prova da parte dell'Amministrazione finanziaria nel caso di utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Con tale pronuncia i giudici di legittimità hanno ribadito il seguente principio: in caso di contestazione di fatture oggettivamente inesistenti, l’Ufficio deve solo dimostrare, anche in maniera indiziaria, che la prestazione riportata nei documenti contabili non sia stata posta in essere e non anche provare la malafede del contribuente.
20.09.2020
Con la sentenza n. 19446, depositata il 18 settembre 2020, la Corte di Cassazione si è espressa in ordine alla utilizzabilità delle informazioni bancarie acquisite con la nota "Lista Falciani".
Con tale pronuncia i giudici di legittimità hanno affermato il seguente principio: in linea di principio, nell’attività di contrasto dell’evasione fiscale, l’Amministrazione finanziaria può avvalersi di qualsiasi elemento con valore indiziario, anche unico. A tal fine, sono legittimamente utilizzabili - sia in sede di accertamento sia di contenzioso - i dati del contribuente contenuti nella cd. "Lista Falciani", essendo del tutto irrilevante l’eventuale illecito commesso dal dipendente stesso e la successiva violazione dei doveri di fedeltà verso l’istituto bancario datore di lavoro, che di fatto non godono di una copertura costituzionale. Gli elementi informativi acquisiti devono, però, essere attentamente vagliati dal giudice di merito sulla base degli ulteriori riscontri allegati dall’Amministrazione finanziaria e delle eventuali contestazioni mosse dal contribuente.
Con la sentenza n. 19446, depositata il 18 settembre 2020, la Corte di Cassazione si è espressa in ordine alla utilizzabilità delle informazioni bancarie acquisite con la nota "Lista Falciani".
Con tale pronuncia i giudici di legittimità hanno affermato il seguente principio: in linea di principio, nell’attività di contrasto dell’evasione fiscale, l’Amministrazione finanziaria può avvalersi di qualsiasi elemento con valore indiziario, anche unico. A tal fine, sono legittimamente utilizzabili - sia in sede di accertamento sia di contenzioso - i dati del contribuente contenuti nella cd. "Lista Falciani", essendo del tutto irrilevante l’eventuale illecito commesso dal dipendente stesso e la successiva violazione dei doveri di fedeltà verso l’istituto bancario datore di lavoro, che di fatto non godono di una copertura costituzionale. Gli elementi informativi acquisiti devono, però, essere attentamente vagliati dal giudice di merito sulla base degli ulteriori riscontri allegati dall’Amministrazione finanziaria e delle eventuali contestazioni mosse dal contribuente.
10.09.2020
Con la circolare n. 216816/2020 del 1° settembre 2020, la Guardia di finanza ha fornito ai propri Reparti indicazioni operative relativa alla disciplina in materia di reati tributari (di cui al D.Lgs. n. 74/2000) e di connessa responsabilità amministrativa degli enti, ai sensi dell'art. 25-quinquiesdecies, D.Lgs. n. 231/2001; l'analisi ha tenuto conto delle più recenti novità normative in materia, vale a dire: (i) D.Lgs. 14 luglio 2020, n. 75 (in G.U. n. 177 del 15.07.2020), di attuazione della cd. "Direttiva PIF" (direttiva UE 2017/137); (ii) L. 19 dicembre 2019, n. 157 (pubblicata sulla G.U. n. 301 del 24.12.2019), che ha convertito, con modifiche, il Decreto legge 26 ottobre 2019, n. 124 (cd. "Decreto fiscale").
Il documento illustra le modifiche alla disciplina dei reati tributari e della responsabilità amministrativa degli enti, intervenendo su più punti della menzionata normativa e fornendo "direttive volte a focalizzare l'attenzione dei Reparti sugli illeciti tributari maggiormente lesivi degli interessi erariali, privilegiando l'esecuzione di indagini di polizia giudiziaria"; tra tali punti:
Il documento rinvia, poi, alla circolare - della stessa Guardia di finanza - n. 83607 del 19 marzo 2012.
Le analisi di rischio operate dagli enti - sia nell'ambito del proprio Tax Control Framework che del Modello di organizzazione, gestione e controllo (eventualmente) adottato ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001 (con specifico riferimento ai reati elencati all'art. 25-quinquiesdecies di tale Decreto) -. e, ancor più, le misure di prevenzione poste in atto dagli enti, costituiranno, quindi, anch'essi oggetto di attenta valutazione da parte dei militari della Guardia di finanza in occasione di verifiche fiscali e indagini penali di natura tributaria.
Con la circolare n. 216816/2020 del 1° settembre 2020, la Guardia di finanza ha fornito ai propri Reparti indicazioni operative relativa alla disciplina in materia di reati tributari (di cui al D.Lgs. n. 74/2000) e di connessa responsabilità amministrativa degli enti, ai sensi dell'art. 25-quinquiesdecies, D.Lgs. n. 231/2001; l'analisi ha tenuto conto delle più recenti novità normative in materia, vale a dire: (i) D.Lgs. 14 luglio 2020, n. 75 (in G.U. n. 177 del 15.07.2020), di attuazione della cd. "Direttiva PIF" (direttiva UE 2017/137); (ii) L. 19 dicembre 2019, n. 157 (pubblicata sulla G.U. n. 301 del 24.12.2019), che ha convertito, con modifiche, il Decreto legge 26 ottobre 2019, n. 124 (cd. "Decreto fiscale").
Il documento illustra le modifiche alla disciplina dei reati tributari e della responsabilità amministrativa degli enti, intervenendo su più punti della menzionata normativa e fornendo "direttive volte a focalizzare l'attenzione dei Reparti sugli illeciti tributari maggiormente lesivi degli interessi erariali, privilegiando l'esecuzione di indagini di polizia giudiziaria"; tra tali punti:
- la cd. "confisca allargata";
- i reati tributari maggiormente rilevanti, come recentemente modificati dal legislatore;
- la compliance fiscale ex D.Lgs. n. 128/2015 e la disciplina ex D.Lgs. n. 231/2001.
Il documento rinvia, poi, alla circolare - della stessa Guardia di finanza - n. 83607 del 19 marzo 2012.
Le analisi di rischio operate dagli enti - sia nell'ambito del proprio Tax Control Framework che del Modello di organizzazione, gestione e controllo (eventualmente) adottato ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001 (con specifico riferimento ai reati elencati all'art. 25-quinquiesdecies di tale Decreto) -. e, ancor più, le misure di prevenzione poste in atto dagli enti, costituiranno, quindi, anch'essi oggetto di attenta valutazione da parte dei militari della Guardia di finanza in occasione di verifiche fiscali e indagini penali di natura tributaria.
07.09.2020
Con un comunicato stampa del 5 agosto 2020, il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili ha comunicato che, con determina del 3 agosto 2020, la Ragioneria Generale dello Stato ha adottato ventidue nuovi principi di revisione ISA Italia, elaborati in collaborazione con Assirevi e INRL, Consob e MEF. In particolare il principio n. 240 si occupa della <<responsabilità del revisore relativamente alle frodi nella revisione>> (approfondisci).
Con un comunicato stampa del 5 agosto 2020, il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili ha comunicato che, con determina del 3 agosto 2020, la Ragioneria Generale dello Stato ha adottato ventidue nuovi principi di revisione ISA Italia, elaborati in collaborazione con Assirevi e INRL, Consob e MEF. In particolare il principio n. 240 si occupa della <<responsabilità del revisore relativamente alle frodi nella revisione>> (approfondisci).
07.09.2020
Il 2 settembre 2020 la Commissione permanente sulle Politiche dell’UE del Senato ha iniziato l'esame del Disegno di Legge n. 1721, recante la "Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2019”. Tra i provvedimenti comunitari che dovranno essere attuati si menziona, per il suo particolare interesse, la Direttiva UE 2018/1673 del 23 ottobre 2018, sulla lotta al riciclaggio mediante il diritto penale, avente lo scopo di favorire la cooperazione transfrontaliera e di fissare norme minime per la definizione del reato di riciclaggio e le relative sanzioni, fornendo anche indicazioni per identificare la nozione di autoriclaggio (il termine di attuazione scade il 3 dicembre 2020). Questa direttiva tocca indirettamente l'area fiscale (relativamente ai reati tributari presupposto dei reati di riciclaggio e autoriciclaggio) e la disiplina in materia di responsabilità amministrativa degli enti derivante da reato di cui al D.Lgs. n. 231/2001.
Il 2 settembre 2020 la Commissione permanente sulle Politiche dell’UE del Senato ha iniziato l'esame del Disegno di Legge n. 1721, recante la "Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2019”. Tra i provvedimenti comunitari che dovranno essere attuati si menziona, per il suo particolare interesse, la Direttiva UE 2018/1673 del 23 ottobre 2018, sulla lotta al riciclaggio mediante il diritto penale, avente lo scopo di favorire la cooperazione transfrontaliera e di fissare norme minime per la definizione del reato di riciclaggio e le relative sanzioni, fornendo anche indicazioni per identificare la nozione di autoriclaggio (il termine di attuazione scade il 3 dicembre 2020). Questa direttiva tocca indirettamente l'area fiscale (relativamente ai reati tributari presupposto dei reati di riciclaggio e autoriciclaggio) e la disiplina in materia di responsabilità amministrativa degli enti derivante da reato di cui al D.Lgs. n. 231/2001.
18.08.2020
Sulla Gazzetta ufficiale n. 200 dell'11 agosto 2020, è stato pubblicato il D.Lgs. 30 luglio 2020, n. 100, di recepimento della Direttiva (UE) 2018/822 del 25 maggio 2018 (c.d. “DAC6” - la sigla "DAC" è l'acronimo di: "Directive on Administrative Cooperation"), che pone in capo ad intermediari e contribuenti l’obbligo di comunicare, alle Amministrazioni finanziarie degli Stati UE, i meccanismi transfrontalieri potenzialmente utilizzabili ai fini della pianificazione fiscale aggressiva, con l'intento di incentivare la trasparenza tra le Amministrazioni finanziarie della UE. Questo intervento normativo si colloca nell'ambito delle iniziative OCSE mirate allo stesso scopo, in particolare con il progetto “BEPS” (Base Erosion and Profit Shifting).
In origine, l'efficacia della DAC6 era stata fissata al 1° luglio 2020, con riferimento ai meccanismi transfrontalieri la cui prima fase sia stata attuata tra il 25 giugno 2018 (coincidente con la data di entrata in vigore della Direttiva) e la data di efficacia del provvedimento; questo termine è stato posticipato di sei mesi con Con la Direttiva (UE) 2020/876 del 24 giugno 2020, adottata per tener conto dell’attuale fase emergenziale sanitaria legata alla diffusione del virus Covid-19.
Sul piano oggettivo, i “meccanismi transfrontalieri” individuati dall'art. 2, comma. 1, lett. a) del D.Lgs. n. 100/2020, oggetto delle comunicazioni - si riferiscono agli schemi, accordi o progetti - riguardanti l’Italia e uno o più Paesi esteri - per i quali sia verificata almeno una delle seguenti condizioni:
Da un punto di vista soggettivo, poi, l'obbligo di comunicazione è posto in capo a due categorie:
Le informazioni oggetto di comunicazione all'Agenzia delle entrate riguardano (art. 6, D.Lgs. n. 100/2020):
"a) l'identificazione degli intermediari e dei contribuenti interessati, compresi il nome, la data e il luogo di nascita ovvero la denominazione sociale o ragione sociale, l'indirizzo, la residenza ai fini fiscali, il NIF (numero di identificazione fiscale), nonché i soggetti che costituiscono imprese associate di tali contribuenti;
b) gli elementi distintivi presenti nel meccanismo transfrontaliero che lo rendono oggetto di comunicazione;
c) una sintesi del contenuto del meccanismo transfrontaliero oggetto di comunicazione;
d) la data di avvio dell'attuazione del meccanismo transfrontaliero;
e) le disposizioni nazionali che stabiliscono l'obbligo di comunicazione del meccanismo transfrontaliero;
f) il valore del meccanismo transfrontaliero oggetto dell'obbligo di comunicazione;
g) l'identificazione delle giurisdizioni di residenza fiscale dei contribuenti interessati, nonché delle eventuali altre giurisdizioni potenzialmente interessate dal meccanismo transfrontaliero oggetto dell'obbligo di comunicazione;
h) l'identificazione di qualunque altro soggetto potenzialmente interessato dal meccanismo transfrontaliero nonché delle giurisdizioni a cui tale soggetto e' riconducibile."
Il Decreto in esame prevede alcune fattispecie di esonero dagli obblighi di disclosure:
Nonostante la facoltà prevista dall’art. 8 bis ter, comma 5, della DAC6, il D.Lgs. n. 100/2020 non prevede alcuna esenzione dagli obblighi di comunicazione in capo agli intermediari nei casi in cui il relativo assolvimento possa comportare la violazione del segreto professionale; al riguardo, il Decreto si limita a stabilire che - se poste in essere per le finalità previste e in buona fede - le comunicazioni effettuate “non costituiscono violazione di eventuali restrizioni alla comunicazione di informazioni imposte in sede contrattuale o da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative e non comportano responsabilità di alcun tipo” (art. 3, comma 4, cit.).
L'art. 7, comma 4, D.Lgs. n. 100/2020, prevede che "i contribuenti comunicano all'Agenzia delle entrate le informazioni di cui all'articolo 6 del presente decreto, relative al periodo compreso tra il 1° luglio 2020 e il 31 dicembre 2020, entro trenta giorni a decorrere dal 1° gennaio 2021".
Per il regime sanzionatorio si rinvia all'art. 12 del D.Lgs. n. 100/2020.
Infine, quest'ultimo Decreto rinvia a un successivo decreto ministeriale la regolamentazione della disciplina di dettaglio (e a tal fine rilevano, in particolare, i profili relativi all'esatta individuazione del perimetro soggettivo e oggettivo di applicazione degli obblighi di comunicazione previsti dalla DAC6: v. sopra).
Sulla Gazzetta ufficiale n. 200 dell'11 agosto 2020, è stato pubblicato il D.Lgs. 30 luglio 2020, n. 100, di recepimento della Direttiva (UE) 2018/822 del 25 maggio 2018 (c.d. “DAC6” - la sigla "DAC" è l'acronimo di: "Directive on Administrative Cooperation"), che pone in capo ad intermediari e contribuenti l’obbligo di comunicare, alle Amministrazioni finanziarie degli Stati UE, i meccanismi transfrontalieri potenzialmente utilizzabili ai fini della pianificazione fiscale aggressiva, con l'intento di incentivare la trasparenza tra le Amministrazioni finanziarie della UE. Questo intervento normativo si colloca nell'ambito delle iniziative OCSE mirate allo stesso scopo, in particolare con il progetto “BEPS” (Base Erosion and Profit Shifting).
In origine, l'efficacia della DAC6 era stata fissata al 1° luglio 2020, con riferimento ai meccanismi transfrontalieri la cui prima fase sia stata attuata tra il 25 giugno 2018 (coincidente con la data di entrata in vigore della Direttiva) e la data di efficacia del provvedimento; questo termine è stato posticipato di sei mesi con Con la Direttiva (UE) 2020/876 del 24 giugno 2020, adottata per tener conto dell’attuale fase emergenziale sanitaria legata alla diffusione del virus Covid-19.
Sul piano oggettivo, i “meccanismi transfrontalieri” individuati dall'art. 2, comma. 1, lett. a) del D.Lgs. n. 100/2020, oggetto delle comunicazioni - si riferiscono agli schemi, accordi o progetti - riguardanti l’Italia e uno o più Paesi esteri - per i quali sia verificata almeno una delle seguenti condizioni:
- almeno uno degli intermediari e/o contribuenti partecipanti al meccanismo sia fiscalmente residente al di fuori del territorio dello Stato;
- uno o più dei partecipanti al meccanismo sia contemporaneamente residente ai fini fiscali in Italia e in una o più giurisdizioni estere;
- uno o più partecipanti al meccanismo svolga un’attività all’estero tramite una stabile organizzazione ivi situata e il meccanismo interessi (anche parzialmente) l’attività di tale stabile organizzazione;
- quand’anche così non fosse, almeno uno dei partecipanti svolga un’attività all’estero; e
- in via sussidiaria e residuale, il meccanismo sia idoneo a comportare l’alterazione della corretta applicazione delle procedure sullo scambio automatico di informazioni o la compromissione della possibilità di identificare il beneficiario effettivo.
Da un punto di vista soggettivo, poi, l'obbligo di comunicazione è posto in capo a due categorie:
- intermediari (v. art. 2, comma 1, lett. c., D.Lgs. n. 100/2020), categoria nella quale rientrano: (i) il promoter, ossia il soggetto responsabile della progettazione, commercializzazione, organizzazione e complessiva gestione di un meccanismo transfrontaliero o che lo mette a disposizione per l’attuazione da parte di un terzo; (ii) il service provider, ossia colui che fornisce qualsiasi aiuto materiale, assistenza o consulenza in materia di sviluppo, organizzazione, gestione e attuazione del meccanismo stesso;
- contribuenti (v. art. 2, comma 1, lett. d., D.Lgs. n. 100/2020).
Le informazioni oggetto di comunicazione all'Agenzia delle entrate riguardano (art. 6, D.Lgs. n. 100/2020):
"a) l'identificazione degli intermediari e dei contribuenti interessati, compresi il nome, la data e il luogo di nascita ovvero la denominazione sociale o ragione sociale, l'indirizzo, la residenza ai fini fiscali, il NIF (numero di identificazione fiscale), nonché i soggetti che costituiscono imprese associate di tali contribuenti;
b) gli elementi distintivi presenti nel meccanismo transfrontaliero che lo rendono oggetto di comunicazione;
c) una sintesi del contenuto del meccanismo transfrontaliero oggetto di comunicazione;
d) la data di avvio dell'attuazione del meccanismo transfrontaliero;
e) le disposizioni nazionali che stabiliscono l'obbligo di comunicazione del meccanismo transfrontaliero;
f) il valore del meccanismo transfrontaliero oggetto dell'obbligo di comunicazione;
g) l'identificazione delle giurisdizioni di residenza fiscale dei contribuenti interessati, nonché delle eventuali altre giurisdizioni potenzialmente interessate dal meccanismo transfrontaliero oggetto dell'obbligo di comunicazione;
h) l'identificazione di qualunque altro soggetto potenzialmente interessato dal meccanismo transfrontaliero nonché delle giurisdizioni a cui tale soggetto e' riconducibile."
Il Decreto in esame prevede alcune fattispecie di esonero dagli obblighi di disclosure:
- con riferimento alle informazioni che l'intermediario "riceve dal proprio cliente, o ottiene riguardo allo stesso nel corso dell'esame della posizione giuridica del medesimo o dell'espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza del cliente stesso in un procedimento innanzi ad una autorità giudiziaria o in relazione a tale procedimento, compresa la consulenza sull'eventualità di intentarlo o evitarlo, ove tali informazioni siano ricevute o ottenute prima, durante o dopo il procedimento stesso" (art. 3, comma 4);
- nel caso di più intermediari, ove si provi che le medesime informazioni sono già state comunicate da un altro intermediario all’Amministrazione finanziaria di uno Stato UE o extra-UE con cui vige un accordo per lo scambio automatico di informazioni;
- a favore di intermediari e contribuenti, nel caso in cui l’assolvimento dell’obbligo di comunicazione possa far emergere una loro responsabilità penale, in ossequio al principio del divieto di auto-incriminazione (art. 3, commi 5 e 9);
- a favore dei soli intermediari, con riguardo alle informazioni ricevute dal cliente in occasione dell’esame della sua posizione giuridica o nell’espletamento di compiti di difesa e/o rappresentanza in un procedimento giudiziario o in relazione ad esso (compresa la consulenza sull’eventualità di intentarlo o evitarlo).
Nonostante la facoltà prevista dall’art. 8 bis ter, comma 5, della DAC6, il D.Lgs. n. 100/2020 non prevede alcuna esenzione dagli obblighi di comunicazione in capo agli intermediari nei casi in cui il relativo assolvimento possa comportare la violazione del segreto professionale; al riguardo, il Decreto si limita a stabilire che - se poste in essere per le finalità previste e in buona fede - le comunicazioni effettuate “non costituiscono violazione di eventuali restrizioni alla comunicazione di informazioni imposte in sede contrattuale o da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative e non comportano responsabilità di alcun tipo” (art. 3, comma 4, cit.).
L'art. 7, comma 4, D.Lgs. n. 100/2020, prevede che "i contribuenti comunicano all'Agenzia delle entrate le informazioni di cui all'articolo 6 del presente decreto, relative al periodo compreso tra il 1° luglio 2020 e il 31 dicembre 2020, entro trenta giorni a decorrere dal 1° gennaio 2021".
Per il regime sanzionatorio si rinvia all'art. 12 del D.Lgs. n. 100/2020.
Infine, quest'ultimo Decreto rinvia a un successivo decreto ministeriale la regolamentazione della disciplina di dettaglio (e a tal fine rilevano, in particolare, i profili relativi all'esatta individuazione del perimetro soggettivo e oggettivo di applicazione degli obblighi di comunicazione previsti dalla DAC6: v. sopra).
29.07.2020
Il 30.07.2020 entrano in vigore le modifiche alla disciplina in materia di responsabilità amministrativa degli enti derivante da reato (D.Lgs. n. 231/2001) recate dal D.Lgs. 14 luglio 2020, n. 75 (in G.U. n. 177 del 15.07.2020), di attuazione della cd. "Direttiva PIF" (direttiva UE 2017/1371, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale). Tra le novità vi sono modifiche alla normativa penal-tributaria, di cui al D.Lgs. n. 74/2000 e alla disciplina in materia di responsabilità amministrativa degli enti derivante da reato, anche con riferimento ai delitti tributari di cui all'art. 25-quinquiesdeces, D.Lgs. n. 231/2001.
Per ulteriori informazioni si rinvia al Portale sul D.Lgs. n. 231/2001 www.italianlaw231.com.
Il 30.07.2020 entrano in vigore le modifiche alla disciplina in materia di responsabilità amministrativa degli enti derivante da reato (D.Lgs. n. 231/2001) recate dal D.Lgs. 14 luglio 2020, n. 75 (in G.U. n. 177 del 15.07.2020), di attuazione della cd. "Direttiva PIF" (direttiva UE 2017/1371, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale). Tra le novità vi sono modifiche alla normativa penal-tributaria, di cui al D.Lgs. n. 74/2000 e alla disciplina in materia di responsabilità amministrativa degli enti derivante da reato, anche con riferimento ai delitti tributari di cui all'art. 25-quinquiesdeces, D.Lgs. n. 231/2001.
Per ulteriori informazioni si rinvia al Portale sul D.Lgs. n. 231/2001 www.italianlaw231.com.
07.07.2020
Con l'ordinanza n. 13844, depositata il 06.07.2020, la Corte di Cassazione interviene nuovamente sul tema dell'onere della prova nel caso di emissione/utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti (relative alle cd. "frodi carosello" - v. artt. 2 e 8 del D.Lgs. n. 74/2000), ribadendo che: (i) tale onere grava sull'accusa (e, quindi, sull'Agenzia delle entrate o sulla Guardia di finanza che hanno rilevato i fatti e comunicato la notizia di reato), (ii) l'inesistenza (sul piano soggettivo) delle operazioni non comporta l’automatica indeducibilità dei costi ai fini delle imposte dirette, pur se è, comunque, necessario che gli stessi siano inerenti all’attività di impresa, essendo questo un requisito generale per la loro deducibilità.
Con l'ordinanza n. 13844, depositata il 06.07.2020, la Corte di Cassazione interviene nuovamente sul tema dell'onere della prova nel caso di emissione/utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti (relative alle cd. "frodi carosello" - v. artt. 2 e 8 del D.Lgs. n. 74/2000), ribadendo che: (i) tale onere grava sull'accusa (e, quindi, sull'Agenzia delle entrate o sulla Guardia di finanza che hanno rilevato i fatti e comunicato la notizia di reato), (ii) l'inesistenza (sul piano soggettivo) delle operazioni non comporta l’automatica indeducibilità dei costi ai fini delle imposte dirette, pur se è, comunque, necessario che gli stessi siano inerenti all’attività di impresa, essendo questo un requisito generale per la loro deducibilità.
30.06.2020
Dal 1° luglio 2020, il limite per l'effettuazione di pagamenti in contanti scende a euro 2.000,00.
L'abbassamento della soglia consentita era già stato previsto dal D.L. 26.10.2019, n. 124, "Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili" (cd. Collegato fiscale alla legge di bilancio 2020), convertito con modificazioni dalla L. 19.12.2019, n. 157.
In particolare, le modifiche al regime dell'utilizzo del contante - intese quali "Misure di contrasto all'evasione fiscale e contributiva ed alle frodi fiscali" - sono previste dall'art. 18 del menzionato Decreto, mediante inserimento del comma 3-bis nell'art. 49 del D.Lgs. 21.11.2007, n. 231.
La disposizione in commento dispone un ulteriore abbassamento della soglia in discorso, che passerà a euro 1.000 dal 1° gennaio 2022.
Dal 1° luglio 2020, il limite per l'effettuazione di pagamenti in contanti scende a euro 2.000,00.
L'abbassamento della soglia consentita era già stato previsto dal D.L. 26.10.2019, n. 124, "Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili" (cd. Collegato fiscale alla legge di bilancio 2020), convertito con modificazioni dalla L. 19.12.2019, n. 157.
In particolare, le modifiche al regime dell'utilizzo del contante - intese quali "Misure di contrasto all'evasione fiscale e contributiva ed alle frodi fiscali" - sono previste dall'art. 18 del menzionato Decreto, mediante inserimento del comma 3-bis nell'art. 49 del D.Lgs. 21.11.2007, n. 231.
La disposizione in commento dispone un ulteriore abbassamento della soglia in discorso, che passerà a euro 1.000 dal 1° gennaio 2022.
29.06.2020
Con la circolare n. 17/E del 22.06.2020, l'Agenzia delle Entrate ha fornito indicazioni in merito al nuovo contraddittorio preventivo di cui al D.L. n. 34/2019 (cd. "Decreto crescita"), che fa riferimento agli atti datati e sottoscritti dagli Uffici a partire dal 1° luglio 2020.
In particolare, dal 1° luglio 2020 gli uffici dell’Agenzia delle Entrate saranno tenuti a invitare al contraddittorio il contribuente prima di emettere avvisi di accertamento riguardanti imposte sui redditi e addizionali, contributi previdenziali, ritenute, imposte sostitutive, Irap, imposta sul valore degli immobili all’estero (Ivie), imposta sul valore delle attività finanziarie all’estero (Ivafe) e IVA.
Come espressamente indicato dalla stessa Agenzia, in "linea con le indicazioni fornite agli uffici nel corso degli anni, l’Agenzia incoraggia il ricorso al contraddittorio preventivo, quando possibile, anche nei casi non obbligatori, al fine di valorizzare il più possibile il confronto anticipato con il contribuente e di accrescere l’adempimento spontaneo"
In caso di mancata adesione l’avviso di accertamento deve essere motivato con riferimento ai chiarimenti e ai documenti forniti dal contribuente. L’esito del contraddittorio diventa, quindi, "protagonista e costituisce parte della motivazione dell’accertamento".
Per le modalità seguite dagli Uffici nel periodo dell'emergenza sanitaria da Covid-19 si rinvia alla circolare n. 6/E del 23.03.2020.
Con la circolare n. 17/E del 22.06.2020, l'Agenzia delle Entrate ha fornito indicazioni in merito al nuovo contraddittorio preventivo di cui al D.L. n. 34/2019 (cd. "Decreto crescita"), che fa riferimento agli atti datati e sottoscritti dagli Uffici a partire dal 1° luglio 2020.
In particolare, dal 1° luglio 2020 gli uffici dell’Agenzia delle Entrate saranno tenuti a invitare al contraddittorio il contribuente prima di emettere avvisi di accertamento riguardanti imposte sui redditi e addizionali, contributi previdenziali, ritenute, imposte sostitutive, Irap, imposta sul valore degli immobili all’estero (Ivie), imposta sul valore delle attività finanziarie all’estero (Ivafe) e IVA.
Come espressamente indicato dalla stessa Agenzia, in "linea con le indicazioni fornite agli uffici nel corso degli anni, l’Agenzia incoraggia il ricorso al contraddittorio preventivo, quando possibile, anche nei casi non obbligatori, al fine di valorizzare il più possibile il confronto anticipato con il contribuente e di accrescere l’adempimento spontaneo"
In caso di mancata adesione l’avviso di accertamento deve essere motivato con riferimento ai chiarimenti e ai documenti forniti dal contribuente. L’esito del contraddittorio diventa, quindi, "protagonista e costituisce parte della motivazione dell’accertamento".
Per le modalità seguite dagli Uffici nel periodo dell'emergenza sanitaria da Covid-19 si rinvia alla circolare n. 6/E del 23.03.2020.
29.06.2020
Con la norma di comportamento n. 209 del 24.06.2020, l'Associazione Italiana Dottori Commercialisti (AIDC) indica le modalità da seguire nel caso di fatture elettroniche errate.
Particolarmente interessanti, in relazione alle modalità attuative del reato di cui all'art. 2, D.Lgs. n. 74/2000 (inserito nell'elenco dei delitti presupposto della responsabilità amministrativa degli enti di cui all'art. 25-quinquiesdecies, D.Lgs. n. 231/2001), sono le indicazioni relative al ricevimento di fatture relative a operazioni inesistenti; in questo caso, la citata norma prevede che il cessionario/committente (destinatario della fattura) non deve procedere alla registrazione del documento nella propria contabilità.
Il richiamato documento prevede, poi, i seguenti altri tre casi:
Con la norma di comportamento n. 209 del 24.06.2020, l'Associazione Italiana Dottori Commercialisti (AIDC) indica le modalità da seguire nel caso di fatture elettroniche errate.
Particolarmente interessanti, in relazione alle modalità attuative del reato di cui all'art. 2, D.Lgs. n. 74/2000 (inserito nell'elenco dei delitti presupposto della responsabilità amministrativa degli enti di cui all'art. 25-quinquiesdecies, D.Lgs. n. 231/2001), sono le indicazioni relative al ricevimento di fatture relative a operazioni inesistenti; in questo caso, la citata norma prevede che il cessionario/committente (destinatario della fattura) non deve procedere alla registrazione del documento nella propria contabilità.
Il richiamato documento prevede, poi, i seguenti altri tre casi:
- raggiungimento di una soluzione condivisa tra emittente della fattura e cessionario/committente: l'emittente corregge l'errore emettendo una nota di credito;
- fattura elettronica che espone un addebito di imposta inferiore a quella dovuta (in mancanza di un accordo tra le parti): il cessionario /committente è tenuto a regolarizzare la fattura entro 30 giorni dalla sua registrazione, versando la maggiore imposta eventualmente dovuta;
- fattura elettronica irregolare che non comporta l’insufficiente determinazione dell’imposta: il cessionario /committente deve contabilizzare la fattura ed è legittimato alla detrazione dell’imposta, nei limiti dell’imposta effettivamente dovuta.
15.06.2020
La cd. "Proposta Colao", denominata <<Iniziative per il rilancio "Italia 2020-2022">> - che indica una serie di misure, in vari settori, per superare l'emergenza sanitaria da COVID-19 - reca, tra le altre una misura che si riferisce al "Tax Control Framework" e alle sue connessioni con la disciplina in materia di responsabilità amministrativa degli enti di cui al D.Lgs. n. 231/2001.
In particolare, ci si riferisce alla misura 5 - "Incentivo all'adozione di sistemi di tax control framework del richiamato documento:
Partendo dalle premesse appena esposte, il citato Comitato propone l'adozione delle seguenti <<Azioni specifiche>> (l'enfasi è aggiunta):
<<a. Prevedere la non applicazione delle sanzioni amministrative e penali in ipotesi di contestazioni nei confronti di soggetti aderenti al regime di cooperative compliance.
b. Prevedere la medesima non applicazione delle sanzioni amministrative e penali qualora il contribuente: − Abbia predisposto un modello di presidio del rischio fiscale (Tax Control Framework) che permetta di rilevare, misurare, gestire e controllare il rischio fiscale; − L’esistenza del modello sia stata comunicata all’Amministrazione Finanziaria in dichiarazione (come già avviene per la documentazione sui prezzi di trasferimento) − In sede di verifica, il modello venga considerato idoneo in quanto rispondente ai criteri individuati dall’amministrazione in apposito provvedimento, sulla base dell’esperienza derivante dalla cooperative compliance.
c. Per i contribuenti che non si dotino di TCF, prevedere la non applicazione delle sanzioni amministrative e penali in ipotesi di contestazioni afferenti specifiche operazioni con riferimento alle quali il contribuente abbia predisposto idonea documentazione preventivamente comunicata, all’Amministrazione Finanziaria con specifiche modalità, individuate in apposito provvedimento.
d. Nei casi in cui le misure suindicate fondino le proprie risultanze su documenti falsi o altri mezzi fraudolenti dei quali sia dimostrata la specifica idoneità ad indurre in errore l’Amministrazione le sanzioni amministrative e penali edittali sono raddoppiate.
e. Abbassamento delle soglie per accedere alla cooperative compliance.>>
La cd. "Proposta Colao", denominata <<Iniziative per il rilancio "Italia 2020-2022">> - che indica una serie di misure, in vari settori, per superare l'emergenza sanitaria da COVID-19 - reca, tra le altre una misura che si riferisce al "Tax Control Framework" e alle sue connessioni con la disciplina in materia di responsabilità amministrativa degli enti di cui al D.Lgs. n. 231/2001.
In particolare, ci si riferisce alla misura 5 - "Incentivo all'adozione di sistemi di tax control framework del richiamato documento:
- <<Incentivo all’adozione di sistemi di tax control framework anche attraverso l’estensione del dialogo preventivo con l’amministrazione finanziaria. Introdurre la non applicabilità delle sanzioni amministrative e penali per le società (italiane ed estere identificate in Italia) che (i) siano in regime di cooperative compliance o (ii) implementino un modello di presidio del rischio fiscale (Tax Control Framework) o (iii) segnalino e documentino adeguatamente operazioni caratterizzate da un rischio di natura fiscale.>>
- <<Il rischio di incorrere in contestazioni di rilevanza penale-tributaria è significativo in conseguenza della presenza di soglie di punibilità generalmente basse se rapportate all’operatività della media e grande impresa. La rilevanza quasi automatica delle violazioni fiscali anche in ambito penale costituisce uno degli elementi rilevanti che possono pregiudicare la scelta di investire in Italia.
- La gestione del rischio fiscale rappresenta una priorità soprattutto alla luce dell’estensione della responsabilità degli enti di cui al D.Lgs. n. 231/2001 a taluni reati fiscali per effetto della legge 19 dicembre 2019 n. 157.
- Si rende, dunque, necessario aggiornare il Modello 231 per prevenire il manifestarsi di rischi di natura fiscale. Necessaria convergenza tra Modello 231 e modello di presidio del rischio fiscale (c.d. Tax Control Framework) che dovrebbe essere valorizzata mediante la previsione di una misura premiale rispetto alle fattispecie di natura penale-tributaria.
- L’istituto della cooperative compliance (introdotto nel 2015) consente di istituire un dialogo preventivo con l’amministrazione finanziaria ma è ancora insufficiente a causa (i) della mancata previsione della disapplicazione delle sanzioni penali per effetto dell’accesso al regime e (ii) dell’esistenza di soglie di fatturato tuttora elevate (5 mld €).>>
Partendo dalle premesse appena esposte, il citato Comitato propone l'adozione delle seguenti <<Azioni specifiche>> (l'enfasi è aggiunta):
<<a. Prevedere la non applicazione delle sanzioni amministrative e penali in ipotesi di contestazioni nei confronti di soggetti aderenti al regime di cooperative compliance.
b. Prevedere la medesima non applicazione delle sanzioni amministrative e penali qualora il contribuente: − Abbia predisposto un modello di presidio del rischio fiscale (Tax Control Framework) che permetta di rilevare, misurare, gestire e controllare il rischio fiscale; − L’esistenza del modello sia stata comunicata all’Amministrazione Finanziaria in dichiarazione (come già avviene per la documentazione sui prezzi di trasferimento) − In sede di verifica, il modello venga considerato idoneo in quanto rispondente ai criteri individuati dall’amministrazione in apposito provvedimento, sulla base dell’esperienza derivante dalla cooperative compliance.
c. Per i contribuenti che non si dotino di TCF, prevedere la non applicazione delle sanzioni amministrative e penali in ipotesi di contestazioni afferenti specifiche operazioni con riferimento alle quali il contribuente abbia predisposto idonea documentazione preventivamente comunicata, all’Amministrazione Finanziaria con specifiche modalità, individuate in apposito provvedimento.
d. Nei casi in cui le misure suindicate fondino le proprie risultanze su documenti falsi o altri mezzi fraudolenti dei quali sia dimostrata la specifica idoneità ad indurre in errore l’Amministrazione le sanzioni amministrative e penali edittali sono raddoppiate.
e. Abbassamento delle soglie per accedere alla cooperative compliance.>>
08.06.2020
Con la sentenza n. 16469 del 28.02.2020, la Corte di Cassazione interviene sul tema della responsabilità penale del contribuente e del professionista nell'ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione fiscale (di cui all'art. 5 del D.Lgs. n. 74/2000).
In particolare, con tale pronuncia la terza Sezione penale della Corte Suprema afferma quanto segue (l'enfasi è aggiunta):
Con la sentenza n. 16469 del 28.02.2020, la Corte di Cassazione interviene sul tema della responsabilità penale del contribuente e del professionista nell'ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione fiscale (di cui all'art. 5 del D.Lgs. n. 74/2000).
In particolare, con tale pronuncia la terza Sezione penale della Corte Suprema afferma quanto segue (l'enfasi è aggiunta):
- <<... in tema di reati tributari, la prova del dolo specifico di evasione, nel delitto di omessa dichiarazione di cui all'art. 5, D.Igs. 10 marzo 2000, n. 74, può essere desunta dall'entità del superamento della soglia di punibilità vigente, unitamente alla piena consapevolezza, da parte del soggetto obbligato, dell'esatto ammontare dell'imposta dovuta (Sez. 3, n. 18936 del 19/01/2016 - dep. 06/05/2016, Rv. 267022). In altre parole, l'elemento soggettivo è integrato dalla deliberata ed esclusiva intenzione di sottrarsi al pagamento delle imposte nella piena consapevolezza della illiceità del fine e del mezzo>>;
- <<Secondo la costante giurisprudenza, neppure l'affidamento ad un professionista dell'incarico di predisporre e presentare la dichiarazione annuale dei redditi esonera il soggetto obbligato dalla responsabilità penale per il delitto di omessa dichiarazione. Infatti, trattandosi di reato omissivo proprio, la norma tributaria considera come personale ed indelegabile il relativo dovere>>;
- <<... la prova del dolo specifico di evasione non deriva dalla semplice violazione dell'obbligo dichiarativo né da una "culpa in vigilando" sull'operato del professionista che trasformerebbe il rimprovero per l'atteggiamento antidoveroso da doloso in colposo, ma dalla ricorrenza di elementi fattuali dimostrativi che il soggetto obbligato ha consapevolmente preordinato l'omessa dichiarazione all'evasione dell'imposta per quantità superiori alla soglia di rilevanza penale (Sez. 3, n. 37856 del 18/06/2015 - dep. 18/09/2015, Rv. 265087)>>;
- <<Nel caso in esame ... non esiste alcun elemento per affermare che il ricorrente sia stato vittima di un errore professionale da parte del proprio commercialista, come dimostra la testimonianza di un collaboratore dello stesso studio, e il fatto che il ricorrente avesse assunto alle proprie dipendenze lavoratori irregolari, come dimostrato nel corso dell'accertamento svolto dalla G.d.F. di Sesto San Giovanni>>;
- <<Né rileva, si noti, la circostanza che il commercialista non abbia correttamente assolto l'incarico affidatogli, secondo la prospettazione difensiva. Ed invero, la prova dell'assenza di colpa grava sul contribuente, il quale risponde per l'omessa presentazione della dichiarazione dei redditi da parte del professionista incaricato della relativa trasmissione telematica, ove non dimostri di aver vigilato sull'incaricato. Infatti, in tema di dichiarazioni fiscali, il contribuente non assolve agli obblighi tributari con il mero affidamento ad un commercialista a cui dà mandato a trasmettere in via telematica le dichiarazioni medesime alla competente Agenzia delle Entrate, essendo tenuto a vigilare affinché tale mandato sia puntualmente adempiuto, sicché la sua responsabilità è suscettibile d'esclusione solo in caso di comportamento fraudolento del professionista, finalizzato a mascherare il proprio inadempimento (Cass., Sez. 4, 13 aprile 2016, dep. 5 maggio 2016, n. 18845, Baldo, non massimata).>>
15.04.2020
Con la sentenza n. 12050, depositata il 14.04.2020, la Corte di Cassazione interviene sul tema dei rapporti esistenti tra valutazioni in sede penale e amministrativa con riferimento alla determinazione dell'imposta evasa (con riferimento a un procedimento penale relativo alla contestazione del reato di cui all'art. 3, D.Lgs. n. 74/2000. In particolare, la Corte Suprema ha ribadito che in materia tributaria il compito di determinare l’ammontare dell’imposta evasa - suscettibile dapprima di sequestro e, poi, di confisca - può sovrapporsi o contraddire gli esiti della valutazione operata dal giudice tributario, poiché non è configurabile alcuna pregiudiziale tributaria. In altri termini, il giudice penale non è vincolato nell’accertamento dell’imposta che si assume evasa, alle determinazioni assunte dal Fisco e dal giudice tributario. Nel caso esaminato, le prove acquisite nel procedimento penale sono risultate diverse dagli elementi emersi e valutati, ai fini tributari, in sede amministrativa.
Con la sentenza n. 12050, depositata il 14.04.2020, la Corte di Cassazione interviene sul tema dei rapporti esistenti tra valutazioni in sede penale e amministrativa con riferimento alla determinazione dell'imposta evasa (con riferimento a un procedimento penale relativo alla contestazione del reato di cui all'art. 3, D.Lgs. n. 74/2000. In particolare, la Corte Suprema ha ribadito che in materia tributaria il compito di determinare l’ammontare dell’imposta evasa - suscettibile dapprima di sequestro e, poi, di confisca - può sovrapporsi o contraddire gli esiti della valutazione operata dal giudice tributario, poiché non è configurabile alcuna pregiudiziale tributaria. In altri termini, il giudice penale non è vincolato nell’accertamento dell’imposta che si assume evasa, alle determinazioni assunte dal Fisco e dal giudice tributario. Nel caso esaminato, le prove acquisite nel procedimento penale sono risultate diverse dagli elementi emersi e valutati, ai fini tributari, in sede amministrativa.
29.01.2020
Con la relazione n. 3/2020, la Corte di Cassazione - Ufficio del massimario e del ruolo - Servizio penale, ha fornito chiarimenti in ordine ai profili penalistici delle disposizioni di modifica del sistema penale tributario (D.Lgs. n. 74/2000) e della disciplina in materia di responsabilità amministrativa degli enti derivante da reati (D.Lgs. n. 231/2001) introdotte con il D.L. n. 124/2019, convertito dalla Legge 19.12.2019, n. 157.
In particolare, in merito all'ampliamento del catalogo dei reati "presupposto" della responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato ex D.Lgs. n. 231/2001, l'Alto Ufficio ha precisato quanto segue:
Con la relazione n. 3/2020, la Corte di Cassazione - Ufficio del massimario e del ruolo - Servizio penale, ha fornito chiarimenti in ordine ai profili penalistici delle disposizioni di modifica del sistema penale tributario (D.Lgs. n. 74/2000) e della disciplina in materia di responsabilità amministrativa degli enti derivante da reati (D.Lgs. n. 231/2001) introdotte con il D.L. n. 124/2019, convertito dalla Legge 19.12.2019, n. 157.
In particolare, in merito all'ampliamento del catalogo dei reati "presupposto" della responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato ex D.Lgs. n. 231/2001, l'Alto Ufficio ha precisato quanto segue:
- <<L'introduzione dell'art. 25-quinquiesdecies del d.lgs. n. 231 del 2001 ... pare rispondere anche alle richieste provenienti dall'Unione Europea, concernenti la tutela degli interessi finanziari dell'Unione mediante, tra l'altro, l'inclusione dei reati tributari nella disciplina della responsabilità degli enti>>;
- <<Il catalogo dei reati tributari presupposto della responsabilità delle persone giuridiche è tassativo>>;
- <<E' appena il caso di aggiungere che, a seguito della riforma in esame, le persone giuridiche che adottano un modello organizzativo ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001 devono aggiornarne i contenuti, al fine di implementare efficaci sistemi di gestione del rischio fiscale ed evitare la relativa sanzione. Al riguardo, secondo la giurisprudenza di legittimità, compete al giudice di merito, investito da specifica deduzione, accertare preliminarmente l'esistenza di un modello organizzativo e di gestione conforme alle norme nonché la sua efficace attuazione o meno nell'ottica prevenzionale, prima della commissione del fatto (Sez. 4, n. 43656 del 24/09/2019, Compagnia progetti e costruzioni S.r.l., in via di mass.). Non è idoneo ad esimere l'ente dalla responsabilità da reato, inoltre, il modello organizzativo che preveda un organismo di vigilanza non provvisto di autonomi ed effettivi poteri di controllo e che risulti sottoposto alle dirette dipendenze del soggetto controllato (Sez. 2, n. 52316 del 27/09/2016, Riva ed altri, Rv. 268964)>>.
09.01.2020
Con la sentenza n. 230, depositata l'8.01.2020, la Corte di Cassazione è intervenuta sui temi della rilevanza dei costi nel caso di omessa dichiarazione, e della valenza delle presunzioni tributarie ai fini penali, sottolineando che: (i) a tal fine - ferma la prova da parte del contribuente - possono essere sufficienti elementi a supporto del <<ragionevole dubbio in ordine alla loro esistenza>>; nel processo penale la presunzione tributaria <<non può costituire di per sé fonte di prova della commissione dell'illecito>>.
Di seguito uno stralcio di tale pronuncia:
<<Ciò detto, del tutto inconferenti risultano le contestazioni relative all’inapplicabilità delle presunzioni tributarie. Ed invero in campo tributario, la presunzione vale come strumento di accertamento semplificato nel contrasto all’evasione fiscale che si fonda sulla riconducibilità al reddito, inteso come frutto dell’attività produttiva, e segnatamente ai ricavi, di importi di incerta provenienza (come in via meramente esemplificativa accade per gli accrediti registrati sul conto corrente considerati secondo la presunzione tributaria ricavi dell’azienda), che non può invece trovare applicazione nel processo penale dove, assumendo il valore di un dato di fatto, non può costituire di per sé fonte di prova della commissione dell’illecito. Evenienza questa non ricorrente nella fattispecie in esame dove la riconducibilità delle fatture emesse dall’imputato, ricostruite sulla base di quelle ricevute dai clienti e regolarmente registrate, al volume di affari della società dal medesimo amministrata non costituisce alcuna presunzione, ma soltanto il frutto di un accertamento fiscale effettuato dalla Polizia tributaria che, avendo ricostruito sulla base di quanto figurante dall’elenco fornitori le cessioni di beni da costui effettuate, si sono limitati al calcolo matematico degli importi riportati sui singoli documenti per quantificarne il volume di affari dell’anno di imposta in contestazione. Ora, è ben vero che alla ricostruzione del reddito dell’impresa nell’esercizio di competenza concorrono anche le spese e gli altri componenti negativi, ma questi devono essere certi o comunque determinabili in modo obiettivo (art. 109, comma 1, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917), non potendo essere puramente e semplicemente presunti. Sicché, ove a fronte dell’accertamento di ricavi non dichiarati l’imputato lamenti la mancata deduzione dei costi ad essi inerenti, deve provarne l’esistenza (artt. 187 e 190, cod. proc. pen.), o comunque allegare i dati dai quali l’esistenza di tali costi poteva essere desunta e dei quali il giudice non ha tenuto conto, non essendo legittimo, nemmeno in sede penale, presumere l’esistenza di costi deducibili in assenza quantomeno di allegazioni fattuali che rendano almeno legittimo il dubbio in ordine alla loro sussistenza (cfr., sul punto, Sez. 3, n. 37131 del 09/04/2013, Siracusa, Rv. 257678).>>
Con la sentenza n. 230, depositata l'8.01.2020, la Corte di Cassazione è intervenuta sui temi della rilevanza dei costi nel caso di omessa dichiarazione, e della valenza delle presunzioni tributarie ai fini penali, sottolineando che: (i) a tal fine - ferma la prova da parte del contribuente - possono essere sufficienti elementi a supporto del <<ragionevole dubbio in ordine alla loro esistenza>>; nel processo penale la presunzione tributaria <<non può costituire di per sé fonte di prova della commissione dell'illecito>>.
Di seguito uno stralcio di tale pronuncia:
<<Ciò detto, del tutto inconferenti risultano le contestazioni relative all’inapplicabilità delle presunzioni tributarie. Ed invero in campo tributario, la presunzione vale come strumento di accertamento semplificato nel contrasto all’evasione fiscale che si fonda sulla riconducibilità al reddito, inteso come frutto dell’attività produttiva, e segnatamente ai ricavi, di importi di incerta provenienza (come in via meramente esemplificativa accade per gli accrediti registrati sul conto corrente considerati secondo la presunzione tributaria ricavi dell’azienda), che non può invece trovare applicazione nel processo penale dove, assumendo il valore di un dato di fatto, non può costituire di per sé fonte di prova della commissione dell’illecito. Evenienza questa non ricorrente nella fattispecie in esame dove la riconducibilità delle fatture emesse dall’imputato, ricostruite sulla base di quelle ricevute dai clienti e regolarmente registrate, al volume di affari della società dal medesimo amministrata non costituisce alcuna presunzione, ma soltanto il frutto di un accertamento fiscale effettuato dalla Polizia tributaria che, avendo ricostruito sulla base di quanto figurante dall’elenco fornitori le cessioni di beni da costui effettuate, si sono limitati al calcolo matematico degli importi riportati sui singoli documenti per quantificarne il volume di affari dell’anno di imposta in contestazione. Ora, è ben vero che alla ricostruzione del reddito dell’impresa nell’esercizio di competenza concorrono anche le spese e gli altri componenti negativi, ma questi devono essere certi o comunque determinabili in modo obiettivo (art. 109, comma 1, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917), non potendo essere puramente e semplicemente presunti. Sicché, ove a fronte dell’accertamento di ricavi non dichiarati l’imputato lamenti la mancata deduzione dei costi ad essi inerenti, deve provarne l’esistenza (artt. 187 e 190, cod. proc. pen.), o comunque allegare i dati dai quali l’esistenza di tali costi poteva essere desunta e dei quali il giudice non ha tenuto conto, non essendo legittimo, nemmeno in sede penale, presumere l’esistenza di costi deducibili in assenza quantomeno di allegazioni fattuali che rendano almeno legittimo il dubbio in ordine alla loro sussistenza (cfr., sul punto, Sez. 3, n. 37131 del 09/04/2013, Siracusa, Rv. 257678).>>
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